PINZANI GUIDO

PINZANI GUIDO

Elezione: Scultore eletto Accademico Corrispondente 17.10.1997; eletto Accademico Ordinario 15.10.2004

Classe di appartenenza: Scultura

Ruolo Accademico: Accademico Ordinario

 

Nasce a Firenze il 3 gennaio 1940. Eredita l’amore per l’arte e la letteratura dal padre Onorato, cartografo presso l’Istituto Geografico Militare e dal nonno materno, redattore per la casa editrice Le Monnier. Giovanissimo comincia a modellare la creta che gli procurano gli operai delle fornaci di Campo Marte – quartiere fiorentino dove abita – appassionandosi a tal punto da voler coltivare questa passione. Così negli anni ’50 decide di iscriversi al Liceo Artistico di Firenze dove studia pittura con i maestri Guido Peyron, Silvio Pucci, Piero Bugiani, Renzo Agostini e scultura con il bolognese Quinto Ghermandi, fondamentale per il suo orientamento stilistico. In questo periodo la scuola, ancora di tradizione, è frequentata da pochi e selezionati allievi, che mostrano tutto il loro entusiasmo nell’apprendere le discipline artistiche e culturali, per cui, anche i docenti riescono a trasmettere più facilmente le loro esperienze. In contemporanea agli anni scolastici frequenta i tagliapietre delle cave di Maiano ed è in questa fase che impara a sbozzare la pietra realizzando i suoi primi lavori, tra cui alcune teste che richiamano le Cariatidi di Amedeo Modigliani, artista che apprezza molto e al quale dedicherà la sua Tesi di Laurea. L’esperienza acquisita a Maiano è rilevante per Pinzani perché lo avvicina al modo artigianale di lavorare la scultura, principio che caratterizzerà tutta la sua produzione artistica. Durante questi anni di formazione legge “SeleArte”, rivista bimestrale di cultura e informazione artistica internazionale, fondata nel 1952 da Carlo Ludovico Ragghianti. Grazie a questa rivista, che rappresenta un punto di riferimento importante per i giovani artisti e studiosi, Pinzani scopre il pittore Oskar Schlemmer, dal quale rimane affascinato, lo scultore austriaco Fritz Wotruba, i grafici giapponesi e il suo futuro maestro Alberto Viani. Da un punto di vista letterario stringe una forte amicizia con il poeta Renzo Gherardini, che era stato suo insegnante alle scuole medie inferiori, e che lo introduce alla lettura dei classici e della poesia moderna. Terminati gli studi al Liceo vorrebbe trasferirsi a Milano per studiare con lo scultore Marino Marini, ma il maestro è sovente lontano dall’attività didattica che rimane affidata agli assistenti. Così, con il consiglio di Ghermandi e una sua lettera di presentazione, si reca a Venezia dove frequenta l’Accademia di Belle Arti con il maestro Viani. Pinzani, che aveva già potuto apprezzare le opere di questo scultore in “SeleArte”, era rimasto colpito “dal linguaggio raffinato” e dalla “visione estremamente semplice della plastica”. A Venezia oltre a trovare un grande artista incontra un eccellente insegnante che lascia liberi gli allievi a un dialogo intellettuale con il passato, infatti, Pinzani racconta che l’aula di scultura, ininterrottamente aperta, era tappezzata di grandi cornici con foto di sculture di tutti i tempi, dalla preistoria all’età contemporanea, postillate da interventi critici del maestro. Nel 1959 su suggerimento di Viani visita una personale dello scultore milanese Lorenzo Guerrini nella Galleria veneziana del Cavallino. Il contatto con l’opera di Guerrini, influenzato anch’egli dall’austriaco Wotruba, sarà determinante per i suoi futuri sviluppi artistici, soprattutto verso un linguaggio scultoreo non figurativo, che nasce dalla sovrapposizione di volumi semplici. Agli occhi di Pinzani l’ambiente veneziano appare subito “carico di sfumature, di ombre e di luci”, caratterizzato da una forte apertura mentale, tant’è vero che, per favorire lo studio, ai giovani artisti era permesso di accedere liberamente alla biblioteca della Biennale. Per Pinzani sono anni indimenticabili. Nel 1967 si reca a Bochum, dove si trattiene per quasi un anno, realizza alcune sculture in pietra vulcanica e partecipa ad una esposizione presso l’Università. Dopo il viaggio in Germania ritorna a Firenze e continua a mantenere vivi i contatti con il maestro Viani che considera un padre spirituale, un grande uomo di cultura. In questi anni, nonostante rimanga volutamente isolato dall’ambiente intellettuale fiorentino, conosce Raffaele Monti (tramite Alfredo Righi) e Renzo Federici con il quale apre un proficuo scambio culturale che contribuirà ad arricchire la sua ricerca stilistica e formale verso la realizzazione di opere cariche di riferimenti artistici tradizionali, spaziando dall’occidente all’oriente. In questo periodo comincia a lavorare alla serie dei samurai, un tema ricorrente nella sua produzione artistica fino ad oggi. La passione per i Ronin, samurai senza padrone, nasce dalla curiosità di scoprire il mondo orientale dei films Rash‘mon (1950) e I sette samurai (1954) di Akira Kurosawa, dai quali rimane colpito, ma soprattutto dall’interesse per la componente grafica delle stampe giapponesi che illustrano un mondo di eroi-guerrieri che lo affascinano. Viani è al corrente di questa ricerca e la approva, per cui Pinzani lo aggiorna continuamente sugli sviluppi come documenta l’epistolario tra i due. Nel 1969 diventa assistente dello scultore Raffaello Scianca all’Accademia di Belle Arti di Urbino (fino al 1972). Sono gli anni dell’arte concettuale e povera, molti insegnanti condividono queste due correnti artistiche per cui appare viva la grande libertà creativa concessa agli allievi e il loro conseguente disorientamento artistico. In un clima in cui ormai sembra mancare l’esperienza formativa della vecchia Accademia, Pinzani si sente a disagio e non riesce a seguire i giovani artisti come vorrebbe. In questi anni però incontra il filosofo Rosario Assunto, docente di estetica all’Università di Urbino, con il quale può confrontarsi culturalmente e grazie al quale riesce a crearsi una “diga di difesa”. Per Pinzani, Assunto è una persona importante, un uomo di grande intelligenza e apertura mentale, tant’è vero che lo invita all’Accademia per tenere una conferenza sull’arte e ancora oggi, con molta amarezza, non riesce a dimenticare la contestazione che insegnanti e allievi espressero verso i precetti illustrati dal filosofo, il quale riuscì a terminare l’intervento con molta fatica. Per Pinzani rimane incomprensibile l’atteggiamento carico di eccessivo modernismo con il quale venne accolto Assunto a discapito di un’istruzione che avrebbe dovuto svilupparsi per gradi, partendo dall’insegnamento del disegno e della storia dell’arte per poi, con il tempo e l’esperienza, essere in grado di fornire ai giovani artisti i mezzi per sviluppare un linguaggio innovativo. Ad Urbino risale il fortunato incontro con l’incisore Renato Bruscaglia, direttore dell’Accademia dal 1967 al 1970 che introduce Pinzani all’incisione; in questo periodo comincia a realizzare i paesaggi marchigiani dai quali è particolarmente attratto sia per il mistero che infondono, sia per l’irrazionalità che li distingue. Sono incisioni caratterizzate da un forte contrasto chiaroscurale, dall’esaltazione di ambienti, prevalentemente notturni, dai quali trapela una dimensione mistica che invita l’osservatore a riflettere sulla grandezza della natura. La luna, simbolo femminile ricorrente, è l’unica vera protagonista di alcune scene paesaggistiche invase da un senso di “silenzio, solitudine e spiritualità” verso la continua ricerca di un Genius Loci. Dopo l’esperienza marchigiana torna a Firenze e vince il concorso per insegnare al Liceo Artistico; per un anno è docente di scultura anche all’Istituto Statale d’Arte. In questi anni stringe amicizia con i pittori Franco Brogi, Enzo Faraoni e Alessandro Nocentini, con il quale esporrà nel 1986 presso le sale comunali delle Logge Vasari ad Arezzo. Nei momenti liberi è in continuo viaggio tra Firenze e la sua amata Urbino, “del resto”, come scrive Federici, “non sta mai fermo in un posto: la sua vecchia Ford è un po’ il distintivo che lo associa solidarmente a quella generazione, ormai sui quaranta, che ha sentito l’automobile come una enorme liberazione” (Renzo Federici, Guido Pinzani, cat. della mostra, Galleria rossi, Parma, 1983). A Urbino è in contatto con l’amico pittore Adolfo Paolucci, con il quale aveva già esposto in una collettiva del 1972 in occasione della XXIIª Edizione del Premio Internazionale di Pittura, Scultura, Grafica e Libro d’Artista “G. B. Salvi” e “Piccola Europa” a Sassoferrato, e con i frati francescani di San Bernardino, che gli mettono a disposizione uno studio presso il convento. Tra i frati vi sono filosofi, teologi, storici della religione medievale sensibili all’arte, con il desiderio di voler realizzare una raccolta della loro collezione di acquerelli, stampe, quadri, incisioni e sculture di artisti prevalentemente marchigiani e toscani; per questa operazione si affidano a Pinzani che li aiuta a fondare il museo di cui lui sarà direttore. Il legame con gli ambienti marchigiani, fondamentali per la sua ispirazione artistica, comincia ad indebolirsi di recente, quando il nucleo religioso di San Bernardino, con il quale è in piena sintonia, viene trasferito e, in mancanza di personalità interessate, la collezione, purtroppo, viene smembrata. Nel 1998 conclude con un po’ di delusione la sua esperienza come docente: si è ormai accorto da tempo che non esistono più i maestri di una volta, gli artisti vestono solo il ruolo di insegnanti e, con l’avvento della scuola di massa, viene a mancare quella selezione necessaria a individuare gli studenti dotati. In questa situazione di eccesso della popolazione scolastica, dove anche i più bravi non riescono ad emergere e molti sono indifferenti alla ricerca estetica, non riesce a trovare degli allievi da seguire. Da qualche anno è Socio della Classe di Scultura dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze ed ha partecipato a due mostre presso la Sala delle Esposizioni: la prima nel 1999 in occasione di una collettiva in cui sono state presentate le opere degli scultori dell’Accademia divisi in due sezioni, una contemporanea, l’altra storica e nel 2007 insieme agli scultori Antonio Di Tommaso, Gabriele Perugini e Antonio Violano. Nel 2001 entra in contatto con la Galleria Open Art di Prato e prende parte, con la ceramica Torso del 1998, alla collettiva Arte Internazionale a Prato. Dipinti–Acquerelli–Disegni–Sculture; nel 2003 partecipa con Studio per un Ronin (acquerello e china su carta, 2002) e Yazama Shinroku Mitsukase (legno dipinto, 2003) alla mostra De statua. Aspetti della Scultura Italiana del Novecento, promossa dalla stessa Galleria dove le sue opere sono esposte in permanenza. Pinzani oggi si definisce un “sopravvissuto sotto assedio del modernismo” che, grazie agli insegnamenti di Viani e alla sua grande cultura, non si è lasciato influenzare dalle mode artistiche del momento. Le sue sculture nascono dall’osservazione di opere di tutti i tempi, come ci “raccontano” alcune immagini affisse nel suo studio: un kouros della Grecia arcaica, un Cristo di Giovanni Pisano, le Bagnanti di Paul Cèzanne, una Madonna del Tintoretto, La prostituta di Scipione, capolavori che Pinzani ha meditato sapientemente verso un linguaggio artistico innovativo, perchè, come lui stesso afferma: “l’artista è principalmente un visivo”. Ecco che nascono così sculture in omaggio ad Antonio Canova, Arnolfo di Cambio, Cèzanne e Giovanni Pisano, opere che si sviluppano per blocchi, volumi, geometrie, tanto che l’aspetto architettonico sembra dominare su quello plastico. Ricorrente è l’uso del colore, che se da un lato rimanda all’osservazione dell’arte negra e alle opere della scultrice statunitense Louise Nevelson, dall’altro si ricollega alla tradizione della scultura lignea policroma europea. Tra le tematiche predilette da Pinzani, oltre alla serie dei Ronin, troviamo l’autoritratto, che viene percepito come dialogo interiore; frequente è anche la rappresentazione di simboli di civiltà primitive, barbariche, unite alla natura, che come scrive Gherardini si legano “all’esigenza di una cultura riflessa, civilissima, tuttavia consapevole del proprio bisogno di sorgenti istintive” (Renzo Gherardini, Guido Pinzani, cat. della mostra, Palazzo Campana, Osimo, 1975).